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Pubblicitari e IA: il 91% già la usa, ma serve l’idea umana

L’AI in Italia cresce del 58%, trainando il mercato a 1,2 miliardi. Nonostante il 91% dei pubblicitari usi l’AI generativa, esperti come Ciliberti e Cavicchio ribadiscono che solo l’ingegno umano garantisce la vera creatività

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Creatività umana vs AI
Creatività umana vs AI (© Depositphotos)

L’intelligenza artificiale si conferma come uno dei fattori più dirompenti nel panorama dell’innovazione tecnologica. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il mercato dell’AI in Italia ha registrato nel 2024 una crescita del +58%, superando la cifra record di 1,2 miliardi di euro. Questo incremento vertiginoso evidenzia come le aziende italiane stiano investendo sempre di più in soluzioni avanzate di machine learning, AI generativa e analisi dei dati per ottimizzare processi e strategie.

I settori trainanti dell’AI e i protagonisti

A guidare questa ascesa sono, in prima battuta, i comparti telecomunicazioni e media, seguiti da assicurazioni, energy, resource & utility, banking & finance e, con un’accelerazione significativa, il settore Gdo & retail. Nei servizi di comunicazione e pubblicità, come conferma uno studio di IAB Interactive Advertising Bureau – Europe, ben il 91% degli operatori del settore ha già utilizzato, sta utilizzando o sta sperimentando nuove forme di AI generativa. E fra i rimanenti, il 90% si dice pronto a testarla nei prossimi 6 mesi.

La differenza tra “generare” e “creare”

L’entusiasmo dilagante intorno all’IA ha portato aziende di ogni dimensione a sperimentare soluzioni automatizzate per la produzione di contenuti. Eppure, come sottolinea Davide Ciliberti, spin doctor del gruppo di comunicazione Purple & Noise, l’AI non potrà mai sostituire “il fattore umano”. Lo conferma anche l’art director Carlo Cavicchio di CD Cromo, storica azienda italiana di grafica: “L’AI è capace di generare output esteticamente gradevoli, ma non di creare vera originalità. Quella scintilla di genio creativo e di visione resta prerogativa dell’uomo”.

Le voci di chi lavora nella creatività

Anche il noto pubblicitario italiano Cesare Casiraghi rincara la dose, parlando di un’AI che, pur essendo uno strumento straordinario per ampliare gli orizzonti creativi, non ha ancora la capacità di “segnare il goal decisivo”. Lo stesso sentiment emerge dalle parole di Andrea Crocioni, direttore di TouchPoint, che vede l’AI come un “tool in evoluzione”. Ma perché risulti davvero utile, deve essere governata e guidata dal pensiero strategico di un creativo.

Velocità di esecuzione vs. qualità del risultato

Gli ambiti in cui l’intelligenza artificiale si è imposta con maggiore rapidità sono quelli in cui la quantità di contenuto da produrre è elevata e la qualità richiesta è discreta. Secondo Vicky Gitto, pubblicitario pluripremiato, l’AI può essere ottima per realizzare post e reel sui social media, ma la visione strategica e il talento creativo umano restano elementi fondamentali per lo sviluppo di campagne pubblicitarie di successo.

Creatività umana: l’ingrediente insostituibile

Affidare un intero progetto all’AI rischia di generare un effetto di déjà vu, privo dell’inventiva distintiva che spesso fa la differenza tra una campagna mediocre e una campagna memorabile. Come ricorda Ciliberti, slogan come il mitico “O così o Pomi” (creato da Pino Pilla per l’agenzia Pirella) derivano da un talento e da una sensibilità che solo la mente umana può offrire.

O cosi o pomì. AI vs creativo

O cosi o pomì. AI vs creativo

Il futuro dell’AI e della creatività pubblicitaria

La diffusione dell’AI generativa non accenna a rallentare, e in futuro vedremo miglioramenti ancor più rapidi nelle sue capacità di elaborazione e analisi dei dati. Tuttavia, il fattore umano rimane il cuore pulsante della creatività: la tecnologia può fornire spunti interessanti, suggerire idee, ma non riuscirà a sostituire quella capacità intuitiva e visionaria che fa nascere grandi concetti e campagne pubblicitarie di alto profilo.

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