Economia digitale
90mila “Tech Talent” introvabili in Italia
Le aziende provano a stare al passo ma il ritmo della trasformazione digitale supera lo sviluppo delle competenze, lasciando il 72% dei team tecnici con importanti carenze
È caccia ai talenti tecnologici all’interno del mercato del lavoro italiano. Dalla multinazionale all’azienda familiare, le imprese di ogni settore e dimensione stanno ricercando i migliori “tech talent” per accelerare i processi di trasformazione digitale proseguendo nella crescita e nello sviluppo del business.
Secondo una recente stima Assintec-Assiform in Italia ci sono 89mila posti di lavori vacanti in questo settore e di questi circa 57mila rappresentano opportunità di lavoro accessibili anche per professionisti non laureati. In una situazione dove il mercato del lavoro è caratterizzato da un ampio turnover visto che, secondo il Ministero del Lavoro, lo scorso anno 2,2 milioni di persone si sono dimesse volontariamente (+14% sul 2021), il ritmo elevato dell’innovazione tecnologica sta superando le capacità delle organizzazioni di formare e migliorare le competenze dei lavoratori lasciando il 72% dei team informatici con importanti carenze, come indicato dal report “Demand for tech talent”. Tutto questo si riversa su un mercato del lavoro sempre più ristretto generando a tutti gli effetti una vera e propria corsa ai “tech talent” dove le aziende stanno sperimentando nuove soluzioni per venire incontro alle necessità delle persone garantendo al contempo la stabilità e continuità del business.
“È evidente che siamo in un momento storico particolare dove all’interno del settore IT: c’è una grande rotazione del personale iniziata con il lock-down e ancora non terminata – spiega Livia Rossetto, Senior People & Culture Manager di Mia-Platform, tech company 100% italiana con un’età media di soli 29 anni e che negli ultimi 3 anni ha assunto oltre 100 sviluppatori – Questo è un bene perché significa che le persone hanno iniziato a prendere in mano il loro futuro decidendo la strada migliore da percorrere con una maggiore consapevolezza. Al contempo è un fenomeno che pone una importante sfida di fronte alle aziende, in un Paese in cui vige ancora una cultura aziendale fortemente ancorata al passato. A mio avviso più che sulla difficoltà nella ricerca del personale come azienda dobbiamo interrogarci su come creare le condizioni ideali per far migliorare e crescere queste persone”.
A livello di professioni più richieste dal mercato italiano, Assintec-Assiform evidenzia che oltre un terzo degli 89mila posti vacanti nell’IT (circa 32mila) fanno riferimento alla figura del “developer” mentre, tra le altre figure, si ricercano: cloud specialist, enterprise architect, test specialist, data specialist e information security specialist. Una tendenza che viene confermata anche a livello europeo: sempre secondo il report “Demand for tech talent”, i software developer sono la seconda figura IT più ricercata dalle aziende (58%) dietro ai tecnici di information security (59%) e davanti agli specialisti del cloud (55%).
Il settore IT offre ulteriori preoccupazioni ai dipartimenti HR in quanto l’innovazione tecnologica si evolve di giorno in giorno ed è difficile prevedere quali talenti tecnologici possano soddisfare un’esigenza attuale ed essere rilevanti anche in futuro. In un recente sondaggio Gartner, il 73% dei direttori informatici si è dichiarato preoccupato dal logoramento delle proprie risorse IT messe sotto pressione da una situazione dove al settore informatico viene richiesto un importante impegno nella missione di crescita aziendale attraverso le potenzialità della trasformazione digitale. In questa situazione le aziende stanno optando per offrire agevolazioni come la modalità di lavoro agile, benefit e welfare aziendale che non sempre sono sufficienti per risolvere le problematiche lavorative contingenti.
Un ruolo fondamentale sarà svolto dalla formazione aziendale sia in ottica di employee engagement motivando e dando maggiore valore ai dipendenti, sia in ottica di competenze hard ma soprattutto soft: “Si sottolinea sempre l’importanza delle hard skill soprattutto in campo digitale ma è fondamentale investire nell’acquisizione di competenze soft come la comunicazione empatica e il public speaking – prosegue Livia Rossetto – Spingiamo le persone che lavorano in azienda a migliorare costantemente il loro know how personale grazie anche a dei percorsi di coaching professionale, e adottando un metodo lavorativo Scrum che promuove il principio di corresponsabilità e l’importanza di comunicare le proprie sfide e difficoltà durante momenti di confronto periodici in cui il team fa il punto sul lavoro svolto e condivide trasparentemente i risultati dei propri progetti. Tutto questo processo, però, deve avere alla base una cultura sana della comunicazione e del feedback continuo in grado di promuovere il lavoro di squadra a tutti i livelli”.
Proprio sulla formazione l‘Italia dovrà fare un importante lavoro di reskilling nei prossimi anni visto che il Bel Paese presenta un costante ritardo rispetto alle principali nazioni europee sul tema delle competenze digitali. Secondo una recente ricerca svolta da The European House – Ambrosetti (fonte: rapporto “Next Generation digITALY”), l’Italia dovrà formare, entro il 2026, più di due milioni di occupati con competenze digitali di base per stare al passo con le necessità del mercato lavorativo.
Le competenze informatiche non sono solo un problema professionale ma riguarda anche l’intera cittadinanza nell’era della transizione digitale avviata nell’Unione Europea: per centrare gli obiettivi UE del Digital Compass al 2030, l’Italia dovrà (ri)formare con competenze digitali di base più di 20 milioni di persone. Senza dimenticare che il Bel Paese è ultimo in Europa per numero d’iscritti a corsi di laurea in materia ICT in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni mille abitanti, contro i 5,3 della Finlandia, leader in Europa.
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